14 Festival del Cinema Europeo – La sigaretta elettronica
Il film che ha vinto l’Ulivo d’oro, Loving del polacco Slawomir Fabicki, dimostra come, pur partendo da un trauma terribile come la violenza sessuale, il cinema possa sempre riuscire ad astrarsi, diventare aereo ed etereo come il fumo di una sigaretta che si consuma. Come quella che Aki Kaurismäki ha acceso per imitare Bogart al pubblico e liberarsi della sua odiata sigaretta elettronica, un gesto che racconta il senso ultimo e intimissimo del Festival di Alberto La Monica e Cristina Soldano
Aki Kaurismäki si aggirava per il Festival di Lecce con questa sigaretta elettronica perennemente in bocca, lo sbuffo di vapore acqueo (o qualunque cosa sia) a coprire sistematicamente il sorriso sornione dopo l’ennesima risposta nonsense, o una delle sue reiterate sortite clownesche che spiazzano pubblico e giornalisti. Ma quando si è messo a imitare Bogart, nonostante si trattasse di un incontro in una delle sale del Cinema Massimo, Aki ha dovuto accendersi una sigaretta “vera” – Bogart non lo puoi fare con la sigaretta elettronica. L’unico allarme antincendio scattato è la pazienza degli organizzatori per l’indisciplina del cineasta finlandese: eppure in quel piccolo gesto, nella sostituzione dell’ultimo ritrovato per smettere di fumare con la gioia per il tabacco finalmente aspirato (seguirà circa mezzo pacchetto di sigarette in un’ora), c’è probabilmente il senso ultimo e intimissimo di un Festival di cinema come quello di Alberto La Monica e Cristina Soldano (ad ogni modo, Kaurismäki si era messo a imitare Bogart per spiegare la ragione per cui nei suoi film tutti i personaggi non fanno che fumare).
Un luogo in cui può ancora succedere che Carlo Verdone trasformi un ingessato incontro con Francesca Neri in un one man show basato sul backstage tragicomico di Al lupo al lupo; un posto dove in Concorso passa un film, probabilmente il più rappresentativo della competizione, girato in Germania dall’assistente, francese, degli ultimi film di Wim Wenders, Sylvie Michel, che sfoggia dietro la mdp Mario Masini, storico direttore della fotografia per Carmelo Bene e i Taviani, e si è portato a casa il premio per la miglior interpretazione maschile (Wolfram Koch). Il film si chiama Our little differences e gira intorno senza posa, alla ricerca di una ragazza scomparsa come fossimo a Lisca Bianca invece che a Berlino, e forse è proprio così: nei circoli viziosi dei due genitori del film della Michel ancora una volta ritroviamo il fumo vero, quello che come in un film in odorama riempiva la sala durante l’incontro-con-sigaretta di Kaurismäki.
Allora il film che ha vinto l’Ulivo d’oro, Loving del polacco Slawomir Fabicki, dimostra anch’esso come, pur partendo da un trauma terribile come la violenza sessuale, il cinema possa sempre riuscire ad astrarsi, diventare aereo ed etereo come il fumo di una sigaretta che si consuma. Do visivel ao invisivel: perché l’aspetto più minaccioso di una sigaretta elettronica è il fatto che non finisce mai, non si riduce, pare indistruttibile in confronto alla miserabile caducità del tabacco. Manca il fascino, è chiaro, come la SS16 (che di suo è una strada di potenza storico-immaginifica clamorosa) ripresa da Uli Moller nel debole Il cuore in mano, i piedi sulla strada, evento speciale del Festival nel quale la strada purtroppo non si vede ne percepisce davvero mai: come l’anidride carbonica che sostituisce il fumo in una sigaretta elettronica. Quanto è infinitamente più potente invece lo sfondo postatomico industriale di ruspe, camion e roulotte dove vive la sua solitudine immensa il personaggio maschile di 11 meetings with my father del greco Nikos Kornilios, sempre dal Concorso? L’attore Lambros Apostolou sembra quasi uscito da un film di Kaurismäki: il momento in cui regala un enorme barattolo di miele alla figlia ritrovata muove alla stessa commozione.
Infatti, non si può non tornare ad Aki, quest’anno. Tra i corti proiettati, il contributo di Kaurismäki alla raccolta Chacun son cinéma, intitolato La Fonderie, chiude probabilmente la questione in via definitiva: degli operai passano dagli altiforni dove sono chiusi a lavorare tutto il giorno, ad una saletta cinematografica dentro la stessa fabbrica, dove un proiezionista che si mette un cappello da cowboy per manovrare il proiettore mostra sullo schermo ai compagni L’uscita dalle fabbriche Lumière. La via di fuga è nello schermo, la rivoluzione è in quello che vedi entrando nel cinema. Poco altro da dire. Portate un posacenere ad Aki.
Fonte: sentieriselvaggi.it